Recentemente il Tribunale di Roma (Sezione Lavoro, sentenza n.5995 del 23.o6.2022, Giudice Presidente Dott. Pascarella) si è pronunciato in merito ad un contenzioso tra un agente di commercio, a cui era stato unilateralmente revocato il mandato per la mancanza di raggiungimento di obiettivi di vendite, e la sua mandante.
Questa delibera ci offre uno spunto di riflessione in merito al tema della legittimità del recesso dal contratto di agenzia, da parte della mandante, in presenza di clausole risolutive espresse che contemplino l’ipotesi del mancato raggiungimento del budget.
Cosa avviene nel caso in cui l’agente si assesti al di sotto del target imposto dall’azienda nel caso in cui le due parti (agente e mandate) avevano sottoscritto una clausola che indicava la risoluzione del mandato di vendita nel caso del mancato raggiungimento dell’obiettivo vendite? E' sempre lecita (ed automatica) la risoluzione del mandato?
Come vedremo, non è così scontato.
La decisione del Giudice di Roma si colloca infatti nel solco di un indirizzo oggi maggioritario, di senso favorevole all’agente di commercio, in quanto lavoratore e parte debole di un rapporto per sua natura “sbilanciato”.
La sentenza che riportiamo ricorda anzitutto il rischio insito in un’impostazione che disancori la valutazione dell’avveramento della condizione risolutiva dagli elementi tipici che caratterizzano l’inadempimento imputabile.
Sottolinea infatti il Giudice come la nozione di giusta causa
“assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un’efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perché la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore”.
Traducendo, bisogna dunque tenere a mente che in presenza dell’assegnazione di un target (o, come in questo caso specifico, un “minimo di vendite pattuito”) il dato numerico in sé può essere fuorviante e il mancato raggiungimento di una soglia, anche se indicata nel mandato, da solo non delinea uno scenario segnato da grave inadempimento del lavoratore.
Nel caso in esame l’agente receduto aveva dedotto e dimostrato in giudizio che le proprie performance di vendita – ancorché virtualmente “sotto budget” – fossero state oggetto di riconoscimento da parte dell’azienda, che aveva indicato il ricorrente come una risorsa tra le più produttive dell’intera rete vendita, dovendosi così escludere quell’imprescindibile connotato di gravità tale da non consentire “la prosecuzione anche provvisoria del rapporto”.
Accertata e dichiarata l’illegittimità del recesso, all’agente è stato riconosciuto il diritto alle indennità di fine rapporto e di quella sostitutiva del preavviso.
Questa sentenza dimostra pertanto come il rapporto tra agente e mandante non si basi unicamente sui dati numerici di vendita ma che si declina, al contrario, in una visione di continuità di collaborazione tra le due parti e di interconnessione di rapporti (e di risultati) che legano il singolo (l'agente) e l'intero apparato commerciale (la rete commerciale).
Se vi siete trovati ad affrontare - o state affrontando - una situazione del genere, sappiate che i precedenti in Giurisprudenza a vostra tutela incominciano ad essere molti.
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