Dice Wikipedia: "Il patto di non concorrenza è una clausola contrattuale che può essere introdotta di comune accordo fra datore e prestatore di lavoro secondo la legge italiana. Essa limita la facoltà del prestatore di lavoro di svolgere attività professionali in concorrenza con l'azienda, a seguito di una cessazione del rapporto di lavoro".
In poche parole, il patto di non concorrenza è un vincolo pensato per tutelare il know-how aziendale e il segreto industriale, ed è una pratica comune per regolamentare i rapporti di collaborazione commerciale sia nei confronti di personale subordinato (account, responsabili commerciali, funzionari) sia verso la forza vendita a p.IVA (mono e plurimandatari indistintamente in base alla tipologia di azienda, di settore, di mandato).
Per evitare la fuoriuscita di “personale-chiave”, l’imprenditore può decidere di tutelarsi attraverso la stipula di un patto di non concorrenza, con il quale si obbliga a corrispondere al lavoratore una somma di denaro in cambio dell’impegno di quest’ultimo a non svolgere attività concorrenziale per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
L’art. 2125 c.c. subordina la validità di un patto di non concorrenza con gli ex dipendenti a precisi limiti, che devono essere attentamente seguiti dalle imprese e dai dipendenti che firmano tale vincolo, pena rischi legali.
Il patto di non concorrenza Vs personale subordinato.
Requisiti
La legge (art. 2125 c.c.) prevede per il patto di non concorrenza, pena la sua nullità, i seguenti elementi costitutivi:
1. forma scritta: il patto deve risultare per atto scritto altrimenti è invalidabile. Attenzione però: non è necessario che il patto sia contenuto nel contratto di lavoro. Poiché il patto di non concorrenza è qualificato come un “normale” contratto a prestazioni corrispettive dotato di una causa autonoma rispetto a quella del contratto di lavoro, esso può essere oggetto di una pattuizione separata dal contratto di lavoro.
2. definizione dell’oggetto: definire l’oggetto del patto di non concorrenza significa indicare il perimetro di quelle attività (mercati, clienti, rapporti con forza vendita e fornitori) che non potranno essere svolte dall’ex collaboratore.
La limitazione potrebbe riguardare non solo le mansioni svolte dal dipendente presso l’originario datore di lavoro, ma anche la diversa attività lavorativa che il dipendente potrebbe comunque esercitare in concorrenza con l’ex datore di lavoro.
3. durata predefinita: il divieto di concorrenza deve essere circoscritto entro determinati limiti di tempo. La durata del vincolo non può essere superiore a 5 anni, se si tratta di dirigenti, e a 3 anni negli altri casi.
4. individuazione di un ambito territoriale di operatività: la legittimità di un patto di non concorrenza è valutata anche in relazione all’ampiezza territoriale del divieto.
Un patto avente un oggetto piuttosto ampio potrebbe essere ritenuto lecito purché contenuto entro uno spazio geografico ristretto.
La valutazione di congruità del patto di non concorrenza dipende da due parametri: le esigenze dell’azienda ed il diritto del dipendente di potere continuare ad esercitare un’attività lavorativa che gli consenta di produrre reddito.
5. determinazione di un corrispettivo: il corrispettivo deve essere congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, a pena di nullità del patto stesso.
Ai fini di un giudizio concreto sulla congruità, si devono tenere presenti la misura della retribuzione, l’estensione territoriale ed oggettiva del divieto e la professionalità del dipendente. Pertanto, è nullo il patto di non concorrenza in presenza di una oggettiva estrema modestia del corrispettivo e di una oggettiva estrema estensione del sacrificio della professionalità con consequenziali margini estremamente ridotti di possibilità di lavoro.
Quanto costa un patto di non concorrenza?
Come abbiamo visto, il patto di non concorrenza deve sempre essere retribuito con un corrispettivo congruo al lavoratore che lo sottoscrive.
Il corrispettivo dovrà essere calcolato in modo proporzionale e fissato nel contratto insieme ai termini del patto (ampiezza del territorio, oggetto e durata, ndr). Più ampio sarà il patto di non concorrenza, maggiore dovrà essere la percentuale dello stipendio corrisposta al lavoratore.
La congruità del corrispettivo pattuito è rimessa al buon senso del datore di lavoro. Per evitare retribuzioni insufficienti si consiglia di non scegliere valori inferiori a limiti minimi pari al 30% della retribuzione per i patti operanti in Italia e al 50% della retribuzione per patti che coprono l'intera Unione Europa.
Il compenso sarà però corrisposto al lavoratore solo a condizione che egli rispetti tutte le obbligazioni del patto di non concorrenza. In caso di inadempimento, anche parziale, il lavoratore sarà tenuto a restituire l'intera somma e sarà inoltre tenuto al pagamento di una penale pari al 30% dell'ultima retribuzione annuale, salvo ogni ulteriore risarcimento del danno.
Modalità di pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza
il datore di lavoro ha generalmente la scelta tra le seguenti opzioni:
– corresponsione del compenso in costanza del rapporto di lavoro, attraverso rate periodiche nel corso del rapporto di lavoro.
– liquidazione dell’importo successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.
Il trattamento contributivo e fiscale
Il trattamento contributivo e fiscale del corrispettivo del patto di non concorrenza è legato alle modalità di pagamento.
Il corrispettivo versato in costanza di rapporto, infatti, costituisce retribuzione imponibile a tutti gli effetti, fiscali e contributivi ed è computabile nel trattamento di fine rapporto.
Diversamente da quanto accade in caso di pagamento in corso di rapporto, qualora il corrispettivo sia corrisposto al termine della cessazione del rapporto di lavoro, lo stesso è soggetto soltanto a tassazione separata e non anche a contribuzione.
Cosa succede in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del dipendente?
Il corrispettivo previsto a fronte di un patto di non concorrenza deve essere corrisposto al lavoratore solo a condizione che egli rispetti tutte le obbligazioni previste nel patto stesso.
Nel caso invece in cui, alla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore violi il patto di non concorrenza, il datore di lavoro potrà:
1. risolvere il patto di non concorrenza per inadempimento, chiedere la restituzione del corrispettivo pagato ed il risarcimento dei danni subiti a causa dell’attività svolta dall’ex dipendente in concorrenza (danni che solitamente sono predeterminati da una clausola penale)
2.chiedere l’adempimento del patto di non concorrenza, e conseguentemente iniziare una procedura d’urgenza al fine di ottenere dal Giudice un provvedimento che imponga al lavoratore la cessazione dell’attività concorrenziale (ad esempio, di cessare immediatamente la collaborazione con il nuovo datore di lavoro concorrente).
Il patto di non concorrenza Vs agenti di commercio.
Il patto di non concorrenza nel contratto di agenzia
L'accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all'agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale: per questo motivo si parla di patto di non concorrenza “post contrattuale” in quanto i suoi effetti decorrono dalla cessazione del rapporto di agenzia sino ad un termine massimo, oggetto di pattuizione, che, tuttavia, non può eccedere il termine di due anni dal momento della dichiarata cessazione del rapporto.
Fatto salvo quanto finora espresso, un agente di commercio che firmerà, all'interno del suo mandato, un patto di non concorrenza dovrà ricordare che:
1. l'esclusione del compenso dovrà essere espressa ed il patto dovrà riportare esplicitamente che la mancata pattuizione del compenso è ritenuta da entrambe le parti conveniente nel complessivo equilibrio del contratto stipulato;
2. la relativa clausola dovrà essere specificamente approvata per iscritto dall'agente. Il patto di non concorrenza ricade infatti nel campo di applicazione degli art. 1341 e 1342 c.c. in quando dispone restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
3. Il patto che esclude il corrispettivo dovrà essere rinnovato in occasione di ogni variazione di zona, clienti o prodotti. Va infatti sottolineato che, a differenza del secondo comma, le disposizioni di cui al primo comma dell'art. 1751 bis c.c. sono inderogabili.
Tale disposizione prevede che il patto di non concorrenza post contrattuale debba riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni e servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia.
In ragione del fatto che: (a) il patto di non concorrenza è un contratto autonomo rispetto al contratto di agenzia cui accede; (b) deve riguardare la stessa zona, clientela o prodotti del contratto di agenzia cui accede; (c) deve -qualora sia pattuito senza compenso- apparire conveniente nell'equilibrio complessivo del rapporto di agenzia (Cass. 12127/2015); se ne deduce che ogni volta che le parti modifichino la zona, i clienti o i prodotti nel contratto di agenzia, venga invalidato anche il patto di non concorrenza post-contrattuale, essendo modificato l'oggetto ed alterato l'originario complessivo equilibrio del contratto.
4. il contratto di agenzia che contiene il patto dovrà escludere l'applicabilità al rapporto dell'AEC Commercio o Industria. Tale esclusione dovrà essere integrale. Vale a dire non sarà possibile operare una deroga parziale alla disciplina dell'AEC di riferimento limitatamente alla disposizione che regola il patto di non concorrenza post-contrattuale, facendo salva per il resto la disciplina collettiva.
L'Opzione dell'attivazione del patto di non concorrenza post contrattuale.
Sempre più spesso, abbiamo letto che nell’ambito di un patto di non concorrenza post contrattuale, la casa mandante si riservi di opzionare la facoltà di attivare il patto di non concorrenza alla cessazione del rapporto, previa comunicazione da formularsi per iscritto all’agente di commercio.
In tali ipotesi la giurisprudenza ha ritenuto nulli i patti in cui la casa mandante si fosse riservata non solo il diritto di esercitare l’opzione per l’attivazione di un patto di non concorrenza – con obbligo quindi di corrispondere la relativa indennità - ma anche la facoltà indiscriminata di recedere da tale patto: con la conseguenza di creare una situazione ove l’agente si trova a dover subire non solo la compressione della possibilità di esercitare aliunde altra attività, ma anche di subire il recesso del datore/preponente nel corso della vigenza del patto e, quindi, di perdere il diritto all’indennità.
È invece valida la clausola con cui l’agente conceda al preponente l’opzione irrevocabile al patto di non concorrenza, con la conseguenza che – in una simile fattispecie – il patto potrà perfezionarsi solo nel caso in cui il datore di lavoro eserciti l’opzione.
Il patto di non concorrenza dopo la cessazione del mandato di agenzia
L’art. 1751 bis del codice civile, che disciplina il patto di non concorrenza degli agenti di commercio per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di agenzia, prevede infatti espressamente che se il compenso non è determinato dalle parti allora sarà stabilito dal Giudice.
Il patto quindi rimane valido e l’agente sarà tenuta a formalizzare la richiesta alla ex mandante del pagamento del compenso, con un' intimazione opportunamente formulata ai sensi dell’art. 1454 c.c. (cioè non con una intimazione “ordinaria”, ma con altro strumento che si chiama “diffida ad adempire” con espresso richiamo a tale norma o ai suoi effetti)-
Solo nel momento in cui l'ex mandante continuerà ad essere inadempiente, dopo la diffida formale, l’agente potrà considerare risolto il patto di non concorrenza e tornare libero ad operare anche per la concorrenza dopo la cessazione del contratto di agenzia.
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